Iniziazione Lollino |
Scritto da Clark Maul |
Ok... il tono insolitamente noir dei miei racconti non vuole davvero svanire. In questa versione alla Poe, vi racconto quello che sarà , secondo me, la nascita del piccolo grifone di Darkstar... o almeno credo...
Un lungo tuono squarciò l'aria. Già pochi istanti prima la luce saettante aveva illuminato la deserta collina, unico insignificante promontorio di una sterminata pianura. L'erba, rigogliosa ma piegata sotto il peso della brina, nascondeva il terreno nero come la pece. "Venga dottore, non si lasci intimorire" quella mano, bianca, ossuta, gelida, non lo aveva mai lasciato un istante. Sempre artigliata alla sua spalla, esercitava una pressiona inumana, costringengolo sulla sua via. Gli doleva ancora la testa, forse per il colpo ricevuto, o forse solo per la tensione, la fame, le privazioni. Il suo respiro, corto e rapido, prendeva forma davanti al suo naso, in bianchissime nuvolette di vapore, subito assorbite dal gelo notturno di quella orribile notte. Il camice, spiegazzato e sporco del suo sangue, pendeva asimettricamente dal suo corpo, dalle sue spalle curve. Aveva provato il dialogo con i suoi carcerieri, ma si erano limitati a colpirlo o ignorarlo bellamente. Aveva scelto il silenzio come unica via per non impazzire. Un passo alla volta, le figure che lo circondavano, completamente avvolte nelle loro lunghe tonache di lana nera, ed i visi nascosti in lunghi cappucci a punta, lo stavano conducendo in cima alla collina. Poco alla volta, alla sua vista, si parò dinanzi quello che pareva essere un grande blocco di pietra, ben squadrato. Il gioco di luci, reso ancora più impenetrabile dall'imprevedibile danza delle fiaccole, non gli permetteva una visione globale e corretta "Santo cielo... ma è un altare" disse a mezza bocca "Dottore, si comporti bene. Faccia come le abbiamo spiegato, ed alla sua famiglia non accadrà nulla. Lei vuole bene alla sua famiglia, non è vero?" La voce, dapprima calda e suadente, nelle ultime tre parole era diventata bassa e roca, pesantemente minacciosa. Nonostante il freddo gelido la sua fronte era imperlinata di sudore. Vicino all'altare, in paziente attesa, altre figure incappucciate, con le braccia nascoste nelle ampie maniche. Le sue orecchie erano tappate dall'angoscia. Cosa volevano quelle figure da lui? Di quale orribile rito si sarebbe dovuto rendere partecipe? Ma soprattutto... cosa ci faceva quella donna sull'altare? Possibile che non l'avesse vista prima? Di colpo gli tornò l'udito. Le urla della donna saturavano l'aria, la riempivano senza alcuna pausa, senza alcuna speranza. Erano urla lancinanti, scandite da contrazioni veloci della sua spina dorsale. I lunghi anni trascorsi ad esercitare la sua professione gli lasciarono intuire immediatamente la situazione: quella donna era incinta. Un caschetto di capelli neri, unti ed incollati tra loro in sottili ciocche per il sudore, le incorniciava il viso contratto in lunghe smorfie di dolore. "Voi non potete chiedermi questo" disse il dottore "Voi non potete obbligarmi!" Cercò di girarsi, ma la mano sulla sua spalla, quella piccola mano bianca ed ossuta era ora divenuta un artiglio. La carne era stracciata, placche ossee la deturpavano e la rendevano squamosa. Le candide unghie si erano allungate in artigli appuntiti che il loro proprietario non esitò a puntargli contro la spalla "Lei farà quello che le è stato ordinato dottore. O ne pagherà le conseguenze" la voce non era più calda, non era più suadente. Le parole erano uscite spinte da un ringhio gutturale, senza alcuna traccia di umanità , mentre il caldo fiato di quella creatura gli entrava nell'orecchio. "Ma avrò bisogno di assistenza, medicinali..." "Avrà tutto quello che le occorre" aggiunse prontamente una voce femminile, apparsa dal nulla. Le candide vesti pagane fluttuavano dotate di vita propria ed avvolgevano morbidamente il corpo della donna che gli si era parata dinanzi. "La aiuteremo noi" ed indicò con leggerezza altre due figure efebiche, dietro di lei. I loro capelli, tenuti sulla fronte da sottili rametti di alloro intrecciati finemente, scendevano sulle spalle disordinatamente. Quasi fluttuando sul prato, senza che lui potesse in alcun modo percepire movimento volontario, le donne lo circondarono e lo spinsero sino all'altare. Si guardò intorno, disperato, senza via di fuga. Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sue piccole che lo aspettavano a casa, sulla sua famiglia, sulle speranze, gli amori. Respirò a fondo, permettendo al cuore di ossigenarsi ed impedire alle mani di tremare. Riconquistata l'agognata calma, si mise al lavoro. La donna stava soffrendo orribilmente, ma la sua creatura era pronta per la nascita. Le acque si erano rotte e stavano scivolando sull'osceno altare, bagnando con lunghi e piccoli fiumi le gargolle ed i mostri scolpiti su tutta la superficie rocciosa. "La aiuterò signora, non tema" disse lui cercando di comunicarle una sicurezza che dentro non possedeva nemmeno lui. Mentre lo diceva, le accarezzò la guancia con gesto paterno, protettivo. Le donne che lo circondavano allontanarono le figure incappucciate, che si radunaro in fondo alla collina, iniziando un canto misterico ed arcano. Le loro voci cantavano una nenia sconosciuta il cui unico effetto pareva quello di aumentare l'intensità delle doglie e dei fulmini nel cielo. Il vento, dapprima assente, aveva preso a soffiare deciso. Quei pochi minuti, divenute ore nella sua testa, sembrarono non essere mai esistiti. Il travaglio era stato da manuale, ed il bambino, splendido e senza alcun segno di sofferenza, non piangeva. Riposava serenamente in braccio alle sue tre "assistenti". La donna riposava, sotto l'effetto della morfina. Era stata brava, brava davvero. Chissà quali orribili torture aveva dovuto soffrire, chissà chi era il padre di quell'innocente che aveva generato, chissà quale destino crudele lo attendeva. Non poteva pensare ad altro mentre si puliva le mani con un panno di lino ingiallito dal tempo. I suoi pensieri erano stati interrotti da una visione. Tre figure stavano risalendo la collina, mentre le altre, divenute una moltitudine sconfinata, attendevano pazientemente. La prima, la stessa che lo aveva condotto lì, il proprietario di quella mano artigliata, con un gesto semplice, scansò il cappuccio lasciando spazio ad un viso giovanile, dai lineamente delicati. "E' stato bravo dottore. Bravo davvero" ma senza aggiungere altro, si recò dalla nutrice e si fece consegnare il bambino. Il passaggio era avvenuto in modo solenne, entrambi avevano chinato il capo, in segno di onoreficienza al nuovo nato, tenendolo ben alto, quasi fosse un agnello sacrificale. La figura si pose vicino all'altare e sollevando il pargolo urlò "Di chi è questo infante?" e migliaia di voci, in coro, in un unico orribile coro, risposero "Mio!". Un lampo cadde a pochi passi dall'altare, costringendolo a cadere in terra. Le figure parvero non risentire dell'evento. La figura parve non soddisfatta e ripetè "Di chi è questo infante?" ed ancora una volta l'urlo squarciò il cielo "Mio!". Il viso dell'uomo di piegò in un ghigno satanico, mentre alzava l'infante al cielo. Il pargolo, sino a quel momento silente e pacifico, di scatto aprì gli occhi, neri come l'inferno, e lanciò un urlo continuo ed acuto. Fu talmente violento che costrinse il dottore a tapparsi le orecchie, a barcollare. Perse l'equilibrio e sbattè violentemente la testa contro l'altare. I polmoni si svuotarono dell'aria, e mille stelle luminescenti lo avvolsero. Il dolore alla testa sembrava prendere il sopravvento, ma nononstante combattesse per rimanere sveglio, perse i sensi. Cadde in un sonno profondo. In un coma senza fine. Dopo attimi, o forse ore, di quell'agghiacciante canto di morte, si trovò accovacciato in un angolo di una grande stanza. Era luminosa, piena di libri. Si alzò lentamente. Un ronzio insistente dal tavolo. "Ma... è il mio studio... è stato solo un sogno... null'altro che un sogno" esclamò. Quando riprese lucidità si rese conto che l'interfono sulla sua scrivania era acceso "Dottore? Dottore, mi sente?" "Sì... sì signorina, mi dica" "Volevo ricordarle che domani mattina ha l'appuntamento dai signori Giorgeri, per il parto" "Ah... sì, lo ricordo. Non si preoccupi signorina, l'ho segnato sull'agenda" "Io andrei, se non ha più bisogno di me... ma si sente bene?" "Sì, non si preoccupi. Vada, vada pure" Il respiro corto, l'aria che sembrava riempirgli i polmoni dopo tanto tempo. Prese una Camel dal suo pacchetto, e si diresse a colpo sicuro verso il mobil-bar. "Con un goccetto mi rilasserò. Null'altro che un goccetto". Le mani ancora tremavano, mentre si riempiva il bicchiere di Jack Daniel's. Sospirò profondamente, ed alzò la testa. Fu un rumore secco. Un impatto terrificante. I vetri del bicchiere caddero tutt'intorno, sul pavimento, mentre il liquido rossiccio si espandeva nelle fessure del pavimento. Mosse pochi passi, fissando l'immagine dinanzi a lui. L'espressione di terrore, la bocca paralizzata in una smorfia senza senso e gli occhi fissi... fissi in quel riflesso, in quello specchio, immobili su quel punto... su quel livido sulla sua fronte. |
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